Stilare un bilancio degli ultimi mondiali di pista senza tenere presente la situazione dei velodromi in Italia appare, a leggere i giornali di questi giorni, un esercizio difficile per la maggior parte dei commentatori. E’ evidente che l’utilizzo a mezzo servizio del velodromo di Montichiari, unico coperto in Italia almeno per i prossimi anni, non facilita l’attività di base ed anche delle Nazionali.
Merita, però, tornare su quanto accaduto sul tondino di Parigi alla luce degli anni precedenti e della situazione complessiva. Per farlo, quindi, partiamo dal medagliere (nelle foto sotto, a sinistra quello 2022, a destra il 2021). Nel 2022 terminiamo al secondo posto, con un bottino di 7 medaglie (4 ori e 3 argenti), alle spalle dell’Olanda e prima della Francia, padrona di casa.
L’indomani il mondiale 2021 di Roubaix si disse che sarebbe stato difficile fare meglio delle 10 medaglie, di cui 4 ori, 3 argenti e altrettanti bronzi. Chiudemmo al terzo posto complessivo, dietro Germania e Olanda. Quest’anno si può dire che ci siamo ripetuti, mancando all’appello soltanto tre metalli ‘leggeri’, in un anno, il primo del nuovo quadriennio, nel quale le Nazionali già ragionano in ottica olimpica.
‘Questi risultati ci permettono di guardare con fiducia alle Olimpiadi di Parigi – ha commentato a caldo il presidente Dagnoni – ed anche a quelle succesive, stante l’età di molti nostri protagonisti’. Una dichiarazione che anticipa i temi principali per i quali il ciclismo italiano torna dalla Francia con fondato ottimismo per il futuro.
Muoviamo il medagliere, infatti, in una specialità importante in ottica olimpica, ovvero l’inseguimento a squadre. Italia e Gran Bretagna sono gli unici paesi che salgono sul podio in entrambe le prove (maschile e femminile) negli anni 2021 e 2022, con la differenza che gli albionici raccolgono in totale 1 oro, 1 argento e 2 bronzi; noi portiamo a casa 2 ori e 2 argenti.
Rispetto allo scorso anno manca la medaglia, altrettanto pesante, nell’Americana (nel 2021 grazie alla coppia Scartezzini Consonni, a Parigi quarti per una manciata di punti). C’è da ritrovare, soprattutto, il feeling con l’Omnium, che nel 2016 ci ha visto primeggiare con Viviani a Rio ma che, da quando è stata varata la nuova formula, ancora non interpretiamo al meglio.
Cresce, e i risultati di questa stagione in tutti campionati europei e mondiali lo hanno dimostrato, il settore della velocità, che ha un peso importante nel medagliere olimpico. Matteo Bianchi, a soli 20 anni, compete ormai con i migliori elite, cogliendo già un argento europeo (km a Monaco) e trascinando i suoi giovani compagni di squadra Napolitano (19) e Tugnolo (19) nella Velocità Olimpica. Da loro nei prossimi anni si attende un’ulteriore crescita e un grande risultato sarebbe già conquistare la qualificazione per Parigi. Senza dimenticare Miriam Vece (25) che, seppure a Parigi ha mancato l’obiettivo, in questi anni è spesso salita sul podio, ultimo dei quali il bronzo nei 500 m. ai Campionati Europei di Monaco, ad agosto.
Tutti questi risultati arrivano grazie soprattutto ad un gruppo con un’età media molto bassa. Il quartetto femminile campione del mondo è, da questo punto di vista, l’esempio più cristallino: Elisa Balsamo (24 anni), Martina Fidanza (22), Chiara Consonni (23), Vittoria Guazzini (21), Martina Alzini (25), a queste aggiungiamo anche una ‘convalescente’ Letizia Paternoster (23, a proposito, ottimo il suo ritorno in pista dopo il brutto incidente di Monaco). Se spostiamo l’attenzione sul quartetto maschile, l’età media cambia poco: Francesco Lamon (28 anni), Filippo Ganna (26), Simone Consonni (28), Jonathan Milan (22), Manlio Moro (20).
Ma se ci fermassimo solo a questi mondiali e a questi atleti non avremmo il quadro completo della situazione del ciclismo italiano per quanto riguarda le specialità della pista. Per comprendere pienamente il livello complessivo, infatti, non possiamo non prendere in considerazione anche gli europei U23 e Jrs di Anadia e, soprattutto, i Mondiali juniores di Tel Aviv.
Il movimento azzurro appare, da questo punto di vista, in grado di produrre atleti capaci di rinforzare i già forti gruppi elite. Il quartetto maschile juniores campione del mondo (con un tempo a limite del record su una pista non scorrevole) e quello femminile hanno messo in mostra un livello tecnico complessivo elevato ed alcune individualità che in un prossimo futuro potremmo rivedere anche tra gli elite. Lo stesso discorso vale per Mattia Predomo (18), predestinato nel settore della velocità, che già freme di far vedere il proprio valore anche tra gli U23.
Per questo motivo il presidente federale ha giustamente allungato lo sguardo anche a Los Angeles. Il livello complessivo dei pistards azzurri e la loro giovanissima età ci sembrano anche la migliore risposta a quanti, in questi giorni, hanno posto l’accento sul ‘miracolo’ italiano.
La verità ci sembra diversa: non siamo al cospetto di un miracolo, ma solo ad un serio lavoro di programmazione, in grado di utilizzare al meglio le risorse (economiche e di impianti) a disposizione. Così come non è vero che dietro i vari Viviani e Ganna non vi siano giovani in grado di raccoglierne l’eredità. Il lavoro di programmazione riguarda anche le categorie cadette e, a distanza esatta di un anno, ben si comprendono alcune scelte di riorganizzazione del settore Squadre nazionali.
Tutto ciò non nasconde il problema degli impianti. La Federazione Ciclistica Italiana è consapevole che l’assenza di un velodromo coperto, utilizzabile anche per la pratica di base, rappresenta un problema per lo sviluppo dell’attività. Una struttura utilizzabile anche per le gare, inoltre, darebbe un ulteriore impulso allo sviluppo di quelle attitudini e compentenze utili anche ai fini degli obiettivi di alto livello. Per questo è pronta a favorire tutte le iniziative legate alla realizzazione di impianti coperti, mettendo a disposizione il proprio know how tecnico per la realizzazione .
Sul velodromo di Montichiari ha ‘scommesso’ l’unica fiches messa a disposizione dai fondi del PNRR. Si sta lavorando perché questo diventi il Centro di preparazione olimpica federale. In oltre 130 anni di storia non si è mai sentita l’esigenza di crearne uno. Per certi versi appare incredibile, visto che il concetto di interdisciplinarietà è ormai un cavallo di battaglia portato avanti da anni. La nuova governance federale, invece, ritiene questo passaggio fondamentale, per dare concretezza a quel principio e per dotare la Federazione di una casa moderna ed efficiente, al pari delle federazioni sportivamente più evolute.
Come ha ricordato anche il sindaco di Montichiari in un recente comunicato stampa, in questi giorni stanno partendo i lavori che dovrebbero portare alla soluzione dei problemi strutturali che ne proibiscono l’utilizzo se non alle sole Nazionali.
Analogo impegno si sta portando per la soluzione dei nodi, ereditati dalla precedente gestione, che hanno bloccato in questi anni i lavori del velodromo di Spresiano, rimodulando il progetto per renderlo più aderente alle necessità attuali di sostenibilità ambientale ed economica.
Antonio Ungaro
foto Bettini